Tutti gli articoli di Marzia Dazzi

La prospettiva ecologica del coaching

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Qualche giorno fa mi è capito di guardare un video, nel quale il narratore evidenzia gli aspetti più critici della società e del tempo in cui viviamo e ci invita ad aprire gli occhi su cosa ci impedisce di fare e di essere quello che vorremmo; ogni giorno ripetiamo gli stessi schemi  senza capire bene dove stiamo andando e che in fondo siamo tutto tranne che liberi; Ciò che ci serve davvero per vivere e cioè: cibo, acqua e terra, è posseduto dalle società, spesso multinazionali, una elitè spietata volta solo a farci consumare; Seguiamo delle regole che non abbiamo del tutto condiviso, in qualche modo condizionati sin da bambini dalla famiglia e dal sistema scolastico, che ci propongono un modello a cui conformarci.

In tutto questo mi hanno  molto colpito alcune frasi come  “Cresciuti per non essere mai niente di speciale in questo mondo, per non creare differenze”, “Abbastanza intelligenti da fare il nostro lavoro, ma non da chiederci perché lo facciamo”, “lavoriamo duro, ma non abbiamo mai tempo per vivere la vita per cui stiamo lavorando”; si prosegue poi evidenziando come andando avanti in questo modo, devastiamo e inquiniamo il pianeta, sfruttiamo e deprediamo animali e risorse naturali. Nel video ci sono immagini forti che ci portano a riflettere su cosa accadrà quando questo sistema arriverà al collasso

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Non vorrei soffermarmi sulla negatività o meno di questa prospettiva,  ma sul fatto che davvero siamo vittime di ingranaggi a cui non ci sembra di partecipare, facciamo molte cose senza soffermarci a riflettere se è proprio ciò che vogliamo e va meglio per noi. Tante scelte ci sembrano obbligate e ci piacerebbe sentirci più liberi.

Ecco che in questa riflessione mi è sembrato ancora più di valore l’approccio che in questo senso definirei “ecologico” del coaching.

Nella relazione di coaching un grande valore aggiunto sono proprio quelle domande del coach che normalmente da soli non ci facciamo e che ci aiutano ad aprire la mente alle scelte e alle opportunità alle quali siamo ciechi e sordi. Il fatto di sentirci immersi negli ingranaggi è ciò che ci fa dire che è IMPOSSIBILE, NON CI SONO ALTERNATIVE, ABBIAMO SEMPRE FATTO COSI’ (come se questo fosse di per sé un valore).

L’idea che ne deriva è che il coaching aiuta a fare una sorta di “pulizia” mentale di alcune convinzioni che ci stanno intossicando, che ci impediscono di vedere oltre e che non ci fanno sentire liberi.

La pulizia mentale ci permette di essere più lucidamente connessi con noi stessi e di conseguenza con gli altri, scavare nei nostri desideri autentici, uscire dalla logica di attesa di cambiamento per passare a quella del “cosa possiamo cambiare noi per primi?”.

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Se quello che viviamo tutti i giorni non ci piace potremmo iniziare dal chiederci “cosa vorrei?”  “cosa posso fare?”, per riuscire a vedere più chiaramente le opportunità e ridimensionare gli ostacoli.

E ancora una volta, è….. Questione di coaching

Il video: il mondo in cui viviamo

Punti di vista

 

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“Il collega che mi evita è sicuramente invidioso”; “se in famiglia non mi ascoltano è perché non ci tengono a me”; “Il capo non mi assegna quel  lavoro perché  ha scarsa fiducia nelle mie capacità…”

Ecco alcuni esempi di conversazioni interne che definiscono dei punti di vista, legittimi, ma che hanno portato ai protagonisti delle conseguenze non proprio desiderabili.

Mario, pensando che tutti siano invidiosi di lui, continua a mettere in atto dei comportamenti diffidenti e schivi che lo hanno in parte emarginato dal suo gruppo di lavoro.

Elena appesantisce con noiose lamentele tutte le sere la sua famiglia, che ormai satura non l’ascolta più.

Gianni trasmette talmente tanta insicurezza con il suo modo di fare, con i mille dubbi e domande, che il suo capo è sempre più titubante nell’affidargli nuovi incarichi.

E se la storia fosse un’altra?

L’essenza del lavoro del coach sta proprio qui, nel proporre e mostrare al suo cliente nuovi punti di vista. Insomma sintetizzando al massimo l’attività del coach potrei dire che si tratta di  “un sovvertitore di punti di vista”, non per indurre le persone a cambiarli, ma per offrire altre vie, nuove scelte.

Ma vediamo cosa ci fa fare il punto di vista che abbracciamo e a cui abbiamo, più o meno inconsapevolmente, aderito.

Innanzitutto ci fa formulare dei giudizi, ci facciamo un’idea delle cose e ne diamo un’interpretazione tutta nostra. Fin qui non ci sarebbe nessun problema, se non che ci convinciamo che la nostra idea sia indiscutibilmente vera. La nostra interpretazione ci fa da guida nel mondo, come fosse un laternino nel buio. Così,  intraprendiamo il nostro sentiero. Se poi è quello sbagliato lo scopriremo alla fine.

Compagni fedeli di questo cammino sono gli stati d’animo, spesso derivati dagli stessi  giudizi formulati in precedenza e discendenti diretti del nostro punto di vista. Talvolta sono proprio loro, gli stati d’animo, che ci fanno prendere una direzione piuttosto che un’altra. In base a come ci emozioniamo, agiamo.

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Qualche  volta però  le nostre azioni non sono proprio opportune come vorremmo, oppure sono i risultati che esse ottengono che non ci piacciono. È così che finiamo in un vicolo cieco.

Avere altri punti di vista da valutare è un po’ come accendere la luce nel sentiero buio e scegliere sin dall’inizio “l’occhiale” a noi più funzionale con cui guardare il mondo e raggiungere i nostri obiettivi.

Cambiare punto di vista può essere la chiave per dare una svolta a ciò di cui non siamo soddisfatti e intraprendere il cammino a noi più congeniale.

Vediamo a questo proposito cosa possiamo fare con il supporto del coach:

-“vedere” un’altra versione dei fatti

-Modificare lo stato d’animo che ci fa stare male o è disfunzionale al raggiungimento dei nostri obiettivi

-agire in modo differente

-ottenere nuovi e  più soddisfacenti risultati

 

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L’illusione anatra-coniglio, a seconda del punto di vista dell’osservatore la figura può apparire come un’anatra o un coniglio (wikiquote)

Chi guida l’autobus?

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A volte ci capita di sentirci bloccati, di  non avere chiaro cosa fare per uscire da una situazione che non ci piace. La situazione è stagnante e ci crea un livello più o meno intenso di sofferenza.  Sentiamo di dover fare qualcosa,  ma poi a livello pratico, eccoci lì, sconfitti, arresi, negativi.

Quello che avviene è che ci sentiamo vittime della situazione che stiamo vivendo o di noi stessi;  vorremmo tanto reagire, ma non sappiamo cosa fare. Prima o poi a questo stato d’animo subentra la rassegnazione, non c’è niente da fare.

Mi è capitato di vedere coachee che vivono  questo empasse e si sentono ad un passo dalla resa.

Nella pratica di coaching ho trovato molto utile spiegare che i pensieri negativi di cui le persone spesso si sentono vittime, sono prodotti dalla nostra mente e, udite udite…

NOI NON SIAMO LA NOSTRA MENTE!

Siamo molto di più, la mente è uno strumento, molto potente, con il quale talvolta ci identifichiamo e di cui ci sentiamo in balia, ma è solo un “pezzo”.

Come dice Richard Bandler “Chi guida l’autobus?”, se noi non prendiamo saldamente in mano il timone della nostra vita, lo farà qualcun altro.

Noi siamo in grado di “gestire”, manipolare, comandare i nostri pensieri, perché la mente fa parte di un tutto più ampio. Il nostro essere è fatto anche di corpo, anima, spirito. E’ quantomeno riduttivo identificarsi “solo” con la mente e con i propri pensieri, lasciando a lei, indisturbata la guida dell’autobus, magari andando a sedersi in ultima fila. La mente è preziosa, ma solo se sappiamo farne buon uso.

Il punto è come “dominare” la propria mente e fare in modo che sia al nostro servizio e non viceversa?

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Di seguito qualche spunto:

  1. La consapevolezza: prendere coscienza del fatto che la mente è uno degli elementi in gioco e che esiste una nostra volontà di carattere più ampio, che definisce direzioni e obiettivi di cui la nostra mente può supportare il raggiungimento
  2. Utilizzare uno “switch” , da noi messo a punto, che ci aiuti a cambiare punto di vista, quando ci rendiamo conto che il pensiero che stiamo utilizzando non ci serve e non è utile ai nostri obiettivi. Lo switch può essere una frase, un’immagine, un colore, un piccolo rito (come ad es. alzarsi dalla sedia e sciacquarsi il viso), un motivo musicale, un mix di uno o più degli elementi precedenti o ciò che per noi funziona meglio
  3. Osservarsi “da fuori”, come se non fossimo noi i protagonisti della situazione, ma guardassimo noi stessi , protagonisti di un film. Questo può aiutare a prendere le distanze dal problema da cui ci sentiamo afflitti
  4. Saperne di più : cioè leggere, articoli, libri o frequentare corsi sull’argomento, che ci aiutino a capire come imparare a gestire i nostri pensieri e utilizzare al meglio la nostra mente
  5. Fare esercizio: esercitare la propria volontà passando da pensieri per noi limitanti e disfunzionali ad altri potenzianti (che ci danno possibilità di ottenere ciò che vogliamo)
  6. Celebrare i successi: ogni volta che riusciamo nel nostro intento di cambiare punto di vista e ci rendiamo conto che funziona, celebrare il successo con un piccolo premio o una gratificazione.

Nessuna pretesa di essere esaustivi, ma prendere coscienza del fatto che siamo seduti come passeggeri dell’autobus e non lo stiamo guidando è già un piccolo grande risultato!

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Una sessione per due

Quando e come una sessione di coaching, con due membri di un gruppo di professionisti, può rendere ancora più efficace lo strumento.

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Metti un gruppo di professionisti, dove non ci siano le condizioni per realizzare un “Team Coaching”.  Metti due membri del team che abbiano partecipato ad un percorso individuale di coaching ed essendo entusiasti della metodologia, siano curiosi di sperimentarne altre possibili applicazioni. Metti che i due coachee decidano di sperimentare una sessione a due.

Quello che ne è emerso è stato sorprendente…

L’antefatto

Mi è capitato di fare sessioni individuali di coaching con due membri di un team di professionisti, che per esperienze e formazione sono cresciuti dal punto di vista relazionale e gestionale in modo tangibile.

In effetti il team si è trovato a sviluppare nel tempo un gap importante,  tra i componenti che hanno ampliato le loro abilità e la loro visione e quelli che non hanno condiviso le stesse esperienze.

Quello che ne deriva è una duplice anima del team, che diventa una sorta di “mostro a due teste”, a detta dei protagonisti ed anche dei loro clienti.

Se è pur vero che in una condizione analoga lo strumento ottimale possa essere rappresentato dal team coaching, i differenti atteggiamenti dei componenti, sono di ostacolo ad una scelta del genere, a meno che il team ritrovi gran parte dell’allineamento “perduto” .

Ed è questo il desiderio dei protagonisti della sessione a due che credono ancora nel team e definiscono questo come obiettivo.

I risultati

Durante la sessione i due coachee si rendono conto che l’entusiasmo per le esperienze fatte e per la crescita realizzata  finora, li ha portati alla convinzione che il loro punto di vista fosse irrimediabilmente “il migliore” e da qui la tendenza, in buona fede,  a proporre in modo “comprimente” le loro idee, nei confronti degli altri componenti del gruppo. Questa situazione ha portato i due coachee a lasciare sempre meno spazio agli altri. Questa consapevolezza si sviluppa proprio nel corso della sessione a due.

“Armati” di questa nuova prospettiva i protagonisti intendono reintegrarsi agli altri, proponendo idee , ma con la consapevolezza che sia indispensabile lasciare agli altri uno spazio di metabolizzazione delle loro proposte. Realizzano di essere  disposti ad accettare l’eventuale visione critica dei colleghi, come elemento di valore e non come terreno di scontro. Questo diventa il loro “piano d’azione”.

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I feedback dei due protagonisti

Al termine della sessione i due protagonisti si dichiarano  molto soddisfatti, ritengono di aver acquisito nuovi strumenti di interazione con i colleghi e mi offrono un feedback sullo strumento, paragonandolo anche alle sessioni individuali, di cui sono stati protagonisti in precedenza.

-Lo strumento è stato ancora più potente e incisivo rispetto alla sessione individuale

-le acquisizioni e le consapevolezze di questa sessione ci portano ad abbandonare la dinamica “le abbiamo provate tutte” e ad andare più incontro agli altri membri, puntando a lasciare loro più spazio

-non ci siamo influenzati o condizionati reciprocamente, ma abbiamo arricchito in modo esponenziale i punti di vista e le possibilità d’azione

-Parliamo spessissimo tra di noi di queste problematiche, ma quello che è avvenuto in sessione è del tutto inedito e ci ha portato a definire nuove soluzioni

– ci è sembrato importante aver lavorato individualmente in un percorso di coaching, per fruire al meglio della possibilità che offre una sessione a due

Differenze tra l’esperienza individuale e quella a due

-nella sessione individuale il coachee, lavora su di sè e sulle sue possibilità d’azione, nella sessione a due si lavora su obiettivi comuni, a cui entrambi intendono partecipare

-condividere punti di vista e strategie d’azione, rende i due membri del gruppo più efficaci ed incisivi, pur avendo riportato le stesse problematiche nelle sessioni individuali

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Le dinamiche di sessione

-la sessione dura 4 ore (si possono ottenere buoni risultati anche in  2 ore e mezza/ 3)

-più complessità di gestione, ma anche più ricchezza di prospettive

– gli obiettivi condivisi sono rafforzati dal commitment dei due interessati

Una storia a lieto fine….continua

“Cibo spazzatura”… per la mente

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“Conoscete certamente il proverbio: “siamo quello che mangiamo!” Io l’ho rielaborato e preferisco dire “diventiamo ciò che studiamo”. In altri termini, fate attenzione a quello che imparate, perché la mente è tanto potente da farci diventare simili a quello con cui la nutriamo.” (Robert T. Kiyosaki)

Ormai è semplice: mi serve una qualsiasi informazione e la cerco su google. Scuola, lavoro o semplice curiosità, trovo tutto di tutto. Qualche amico ironizza sul fatto che ti stai prendendo cura di un problema di salute con “Dott. Google”, alludendo al fatto che prendi informazioni su disagi o malanni su internet. Non che questo sia un male in assoluto, ci sono indiscutibili vantaggi ad avere accesso facile a ogni tipo di informazione, ma fruire solo di informazioni veloci, non approfondire mai e prendere tutto per buono è un po’ come mangiare ogni giorno al fast food.

Un altro strumento ambivalente è la tv, ci sono tante opportunità di approfondimento e di informazione, ma alcune proposte sono nella migliore delle ipotesi vuote e inutili, in altri casi addirittura “tossiche”.

Basti pensare alle notizie di violenze e catastrofi che sono spesso il leitmotive di telegiornali e programmi di approfondimento e che, assorbite passivamente, rischiano di bombardare la mente con ogni sorta di negatività. Non si tratta di essere ciechi o indifferenti a ciò che accade intorno a noi, ma consapevoli che un’esposizione univoca crea un effetto univoco.

Blog, articoli veloci, chiacchiere veloci mediate da social o whatsapp, la conoscenza e le informazioni corrono al ritmo frenetico della tecnologia.

Posto che talvolta il pranzo del fast food risponde ad un bisogno di contenere i tempi e che può essere un’alternativa sfiziosa al solito pranzo o la solita cena , è sulla possibilità di abuso che credo sia importante fare una riflessione.

Nella formazione, come nel coaching possiamo immaginare di essere ad un banchetto con ogni sorta di proposta nel buffet, sta a noi scegliere ciò di cui abbiamo bisogno in quel momento. Si tratta di riconoscere con che cosa vogliamo nutrire la nostra mente.

Ma siccome “il maestro appare quando l’allievo è pronto”, secondo un intrigante detto buddista, ci sono dei tempi “tecnici” di proposta, di digestione e di metabolizzazione dei concetti che spesso mal si adattano alla filosofia del fast food.

Uno dei rischi è di “consumare” solo e soltanto le informazioni che servono per risolvere un problema nell’immediato, senza darci la possibilità di acquisire consapevolezza e visione d’insieme.

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In azienda, proponendo un percorso di coaching di 8 sessioni,  da fruire in un periodo di 4/6 mesi, la perplessità del cliente è stata espressa in “ci vuole così tanto tempo? Non è possibile fare tutto in un paio di mesi al massimo?”.

“Certo, tutto si può fare, ma si tratta di cambiare punti di vista, convinzioni, capire che forse è più funzionale modificare il proprio atteggiamento, sperimentare delle azioni sul campo e valutare cosa ha funzionato e su cosa è ancora necessario assestare il tiro. Lei potrà identificare e modificare alcune delle sue convinzioni limitanti e poco funzionali in un paio di mesi?”

In altre parole, possiamo cambiare noi stessi in poco tempo?  Cambiare abitudini che fanno parte di noi da decenni e ottenere cambiamenti stabili in poco tempo?

A questo proposito penso che la Natura possa offrirci una risposta interessante, da formulare come domanda: possiamo far crescere un albero di mele (mela anche come simbolo di saggezza e conoscenza), in una notte?

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