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Le abitudini e i cerchi nel grano

Ogni abitudine rende la nostra mano più ingegnosa e meno agile il nostro ingegno.
(Friedrich Nietzsche)

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Ogni abitudine rende la nostra mano più ingegnosa e meno agile il nostro ingegno. (Friedrich Nietzsche)

I cerchi nel grano, in inglese crop circles o agroglifi, sono quel curioso fenomeno, per cui nei campi di coltivazioni cereali, le piante abbassate ed appiattite, formano dei disegni. Questi disegni visti dall’alto danno origine a forme geometriche, suggestive, talvolta complesse.

A parte l’interessante dibattito tra i sostenitori che questo fenomeno sia opera squisitamente umana, realizzata con strumenti semplici, tempi contenuti e coloro che ritengono che siano messaggi provenienti da civiltà aliene, trovo molto potente la metafora da essi rappresentata.

Di fatto stiamo parlando di percorsi preferenziali, per cui le spighe abbassate verso il terreno costituiscono un “sentiero” o comunque uno spazio più agevole da percorrere rispetto al resto del campo.

Un po’ come avviene quando ci troviamo nella nostra zona di comfort o agiamo secondo un’abitudine entro la quale ci è molto più semplice muoverci, perché abbiamo sviluppato circuiti neurali consolidati, nel nostro cervello. Ci muoviamo in un terreno noto, che abbiamo imparato a percorrere e ripercorrere e come tale ci consente un risparmio energetico. Proprio come se passassimo dove le piante sono già abbassate.

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Ci muoviamo in un terreno noto, che abbiamo imparato a percorrere e ripercorrere e come tale ci consente un risparmio energetico

Se cambiare le nostre abitudini, come ad esempio smettere di fumare o andare a correre ogni mattina, può essere una sfida, le cose si complicano ulteriormente quando abbiamo a che fare con le “abitudini relazionali”. Anche nelle relazioni con gli altri abbiamo dei modi di fare consolidati, talvolta dei clichè comportamentali, che se da un lato limitano le sorprese e rendono la relazione “prevedibile”, dall’altro si potrebbero rivelare poco produttivi se non dannosi.

Spesso nel coaching il cliente o coachee, parla del fatto che c’è poco da fare, “ io sono fatto così” oppure”lui o lei sono fatti così” e possibilmente dovrebbero essere gli altri a cambiare….

Con questa prospettiva è molto facile che la relazione si perpetui secondo quello schema, all’infinito.

In tal caso, quello che può avvenire con un cambio di punto di vista è davvero interessante. Proprio come guardare il cerchio nel grano dall’alto e vedere che il campo, in realtà, è sterminatamente grande ed è possibile creare un’infinità di altri disegni, diversi e più funzionali.

È qui che riusciamo a trovare il nostro margine d’azione, la nostra abilità a muoverci diversamente in quel contesto, in una parola la nostra “Respons-abilità”.

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Spesso nel coaching il cliente o coachee, parla del fatto che c’è poco da fare, “ io sono fatto così” oppure”lui o lei sono fatti così”

Nella relazione il clichè può essere modificato, eccome!! Potremmo essere proprio noi a cominciare ed ogni nostra nuova azione, genererà verosimilmente una nuova reazione da parte dell’altro.

Ritenere di essere immutabili è un’idea molto semplice da smontare, basta pensare a come eravamo alcuni anni fa. Siamo sempre identici? Facciamo e pensiamo le stesse cose in tutto? Noi siamo esseri che in qualche modo crescono e si evolvono di continuo, qualche volta in modo diverso da quello che vorremmo e soprattutto disfunzionale rispetto ai nostri obiettivi.

Tanto vale “disegnarci “ un nuovo cerchio nel grano, più funzionale e magari più in sintonia con ciò che desideriamo oggi.

Così anche nelle relazioni che vorremmo modificare c’è sempre un’altra possibilità, basta cominciare dal nostro campo di grano!

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Perché Questione di coaching

… aprendo l’anima così
lasciando uscire quello che
ognuno ha dentro
ognuno ha in fondo a se stesso…

( Questione di feeling di Riccardo CoccianteMogol)
Mina & Riccardo Cocciante

Per quanto il Coach professionista sia ancora una mosca bianca e si tratti tuttora, almeno in Italia, di una professione pionieristica, gli articoli che sollecitano la ricerca di una identità e di una specificità di questa figura, sono davvero numerosi. Anch’io mi sono interrogata su quale fosse il mio personale modo di fare coaching, quali peculiarità potesse avere e ho pensato di cominciare a darmi una risposta, girando la domanda ad alcuni miei coachee.
Una delle risposte più gettonate è stata “Marzia, nel tuo lavoro riesci a mettere insieme cuore e professionalità”, “ ci metti la tua anima”. Anche e soprattutto in azienda!

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Ebbene si, ancora oggi parlare di “anima” in azienda è un passo coraggioso

Ebbene si, ancora oggi parlare di “anima in azienda è un passo coraggioso (ma i Coach di coraggio ne hanno sempre parecchio…..) Nonostante siti e libri sullo sviluppo personale, piuttosto che su un certo tipo di spiritualità (quella per manager, naturalmente), stiano conoscendo una stagione quanto mai fortunata.

Secondo me la “questione” è molto semplice, non esattamente facile, ma dannatamente semplice. Sono più di 30 anni che si parla dell’azienda come un “organismo vivente” in quanto fatta dalle persone che vivono e lavorano al suo interno. E allora perché lavorare con la dimensione della crescita personale, sembra ancora un optional?

È su questa dimensione personale che ritengo sia importante lavorare e il coaching come sviluppo di abilità a rispondere a quanto oggi richiesto dal mondo del lavoro è uno degli strumenti più efficaci. Oggi ci si deve “trasformare” da bruchi in farfalle e saper far emergere il meglio di noi, non è una scelta, è una necessità.

La musica deve cambiare? Forse non del tutto, di certo vale la pena che ognuno faccia suonare meglio che può, la sua.

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La musica deve cambiare? Forse non del tutto, di certo vale la pena che ognuno faccia suonare meglio che può, la sua.

Così ho Così ho pensato di connotare nello stesso modo anche il mio sito e di parafrasare il titolo di una canzone “Questione di feeling”, (interpretata da Mina e Cocciante nel 1985 ) con “Questione di coaching”.

Questa parafrasi mi evoca un concetto “melodico” (catena di suoni che genera un organismo musicale di senso compiuto) del coaching, inteso come armoniosa espressione di sé,

La conversazione tra coach e coachee viene spesso definita anche come una danza sottile e raffinata, il coach fa un passo (domanda potente e ascolto attivo) e il coachee, in risposta ne fa un altro (consapevolezza, apprendimento, azione) fino ad arrivare all’ultima evoluzione (cambiamento nella direzione desiderata dal coachee).

Insomma la musica dell’evoluzione personale!

Certo alcuni accordi sono impegnativi, così come ogni tanto è scomoda la sedia del coachee che per “cambiare prospettiva” fatica. Cercare in sé stessi delle nuove soluzioni, quando siamo indotti a pensare che le soluzioni stiano sempre fuori di noi, può essere un salto quantico.

Inoltre il termine “questióne (lat. quaestioonis, der. di quaerĕre «chiedere, interrogare»….” rimanda al concetto di domanda, strumento principe nel coaching”. Piuttosto che nell’accezione di “Situazione, caso che costituisce un problema, e che viene perciò proposto a sé stessi o ad altri per una valutazione ed eventuale soluzione”. (estratto da diz. Treccani).

Uno degli aspetti che personalmente amo di più nel coaching è che attraverso questa relazione professionale, il cliente (coachee) raggiunge obiettivi straordinari (fuori dall’ordinario) nella professione come nella vita, migliorando autoconsapevolezza e performance. Ma il protagonista è proprio lui, il coachee che apprende strategie d’azione personalizzate e riesce a modificare la sua interpretazione delle situazioni, diventando un nuovo e più efficace Direttore d’orchestra di se stesso.

E allora, alla fine chi è il Coach? Per me “Un Appassionato Catalizzatore di Melodiose Prospettive”.